martedì 27 dicembre 2011

Tra due mani

Tra due mani il cielo.

Dondola l’orizzonte
sul dorso chinato del colle.
Raccoglie il tempo
le scaglie di malinconia
lasciate nel sottobosco
ignoto alle gioie.

Si srotola
gomitolo di pensieri.
Finisce ingarbugliato
in un cesto ormai colmo.
Più intrecci solitudini
più s’offusca lo sguardo
tra mille fili.
Eppure lì sulla morbida lana
adagiata sul tappeto rosso
fa le fusa la tua vita sfinita
Ignorando il fragore del vento.

Tra due mani il cielo.

Ho lasciato

Ho lasciato in un angolo
quella donna chiamata nostalgia
col viso riparato dalle mani
a  difendersi dai fiori spinosi
lanciati con crudele perfidia
dalla notte.
A lei ho dato in pasto i miei sogni.
Mi restano le briciole
e come un piccione affamato
vado beccando la dura terra
d’una insonnia cullata dai silenzi.
Lo vedi
come curva basso lo sguardo, basso
e indisponente
accigliato si sbatte contro l'orizzonte
tinna
poi s'inclara
che dagli stagni impolverati d'oro
sorgono nuvole beate
ai polsi dispari e a nastrini lucidi
di foglie d'acero canadese colorate
s'arrendono.

No.No.
Meglio non fissarlo troppo l'orizzonte
finirà per sfaldarsi in scaglie
azzurre
eco appena accennato
serberà ad alberi la voce.

Tutto quel trambusto che canta
mi nasce a gioia di soffi lieti alati.



O beata solitudo sola beatitudo. San Bernardo



LadyLunaa

Il senso

S’intralciano le nuvole
in questo tramonto cucito all’orizzonte.
Spumano di nostalgia fermentata
mentre si spegne il bagliore dei ricordi.
Spina nel cielo il senso di quei giorni.

Il silenzio vive!

Il seguente brano è tratto da Do Androids Drean of Electric Sheep? Di Philip K. Dick

“Il silenzio. Lampeggiava dai mobili e dalle pareti; lo colpiva con un potere terribile, totale, come se fosse generato da un grande mulino. Si sprigionava dal pavimento, si levava dal tappeto grigio strappato che si stendeva da una parete all’altra. Sfuggiva dagli apparecchi rotti o semirotti in cucina, le macchine morte che non avevano funzionato per tutto il tempo in cui Isidore era vissuto qui. Fluiva dalla inutile lampada a stilo del soggiorno unendosi con la sua discesa vuota e senza suono dal soffitto macchiato di mosche. Esso riusciva in realtà ad emergere da ogni oggetto  che si trovasse il suo raggio visivo, come se esso – il silenzio – intendesse soppiantare tutte le cose tangibili. Da questo momento non assalì più soltanto le sue orecchie  ma anche i suoi occhi; mentre egli stava presso il televisore inerte esperimentò come il silenzio fosse visibile e, a suo modo, vivo. Vivo!”

Natale 2008



Accarezzato da un manto bianco
il Natale s’attarda nel bosco.
Tintinna il silenzio
nei cristalli appesi ai rami.
Soffici sono i passi
di questa malinconia
sottile come un vento gelido.
La festa s’accende
in quelle luci lontane
e un pianto sommesso
è nei fiocchi di neve.

Lanterna

Langue tremante la fiammella
Accende riflessi
Nel rivolo che una lacrima di luce
Traccia nelle ombre
Erranti sui muri.
Raccoglie nei vicoli del buio
Nitidi ricordi di un
  Amore perduto per sempre.

S'apre

S’apre come crosta strappata
alla notte.
Pesante d’angosce
respiro il vento cibato dal fiume
ferito dagli alberi
aculei di collina.

Vado (per dove ritorna il cammino).
Corro (inseguendo ansie).
Spezzo (l’ambra notturna).
Infrango (sogni incrostati di stelle).

Afferro quell’ultima lama di Luna
e con luce falciata mieto
il mare nero delle ombre.
S’infiora di nuvole scure
un grigio cielo accartocciato
mentre dalla caverna s’alza
un canto sommesso di falene notturne.

Nel lago

Lucciole di lago.
Volano, brillano d’infinito,
si posano sui davanzali sommersi.
Scintillano nell’acqua buia della notte.
Vite che furono fluttuano al ritmo
di onde leggere,
cavalcano raggi di Luna riflessi
nei muri sprofondati nel fango.
S’appendono come lumini
alle porte sprangate nelle ombre.
Un campanile punta come un dito
un cielo lontano che il sole nasconde
come perla preziosa.
Il silenzioso rintocco delle campane
emerge leggero in turbinio di bolle
e finalmente s’affida al vento
a liberare i fantasmi di persone perdute.

Piove

Porta la pioggia
Il colore delle nuvole
Orlate di malinconia.
Vorrei un mantello di
Erba bagnata.

E come

E come?

E come può il peso d’una foglia secca?
Alla fine lontana del ramo silenzioso
avvitato nella notte come la serpe
in agguato nel folto cespuglio della nostalgia.

E come può quella bava di vento?
Sibilata nell’ultimo respiro
di un affanno insonne e tremante
presagio di svolazzanti falene
ghermite nell’antro delle ombre.

E come può lo schianto della vita?
Sospesa sul davanzale parola
che ali più forti della disperazione
spingeranno lontano sul lago addormentato
per un volo che mai sarà compiuto…

Si fermano le ore addormentate
deste dal vento che fiero scorrazza

ed è insolita piazza irta di panchine convesse
che chiude il pensiero
nell'attesa di un cerchio chiaro della luna
da mettere al collo come pendaglio
d'eternità.


di Davedomus & Ladilunaa

We can...

Il brano che segue è tratto da We can Build you, Phil K. Dick (1972) e in questo titolo c'è un famoso slogan della recente campagna elettorale americana... ma chi ci può costruire?
“La nascita, decisi, non è piacevole. E’ peggio della morte; è possibile fare filosofia sulla morte… e probabilmente voi lo farete: tutti l’hanno fatto. Ma la nascita! Non c’è alcuna possibilità di filosofare, di addolcire la pillola. E la prognosi è terribile: tutte le vostre azioni, tutti i vostri atti e pensieri non faranno altro che coinvolgervi, costringendovi a vivere ancora più 

Solitudine

Ho sete.
Bevo attimi
che sanno di foglie marroni.
Gocce d’autunno
amare
di dolore e vivere.
Scivola malinconia
foschia di bosco.
Nel ticchettare del picchio
lamento di corteccia,
sommesso come
il pianto soffocato.
Ho sete.
Mi cresce un muschio in gola,
respiro il vento
umido di rugiada
stillata dalla polpa secca
d’un melograno.
Su per un raggio d’aurora,
persa nel cielo viola
di anni ormai stinti,
in spirali ubriache,
voli così
solitudine.

Morali


“La società, così come noi l’abbiamo costruita, non avrà posto per me, non ne ha da offrire. Ma la Natura, che versa la sua dolce pioggia sul giusto e sull’iniquo avrà per me recessi nelle sue rocce in cui nascondermi, e valli segrete nel cui silenzio potrò piangere indisturbato. Appenderà stelle nella notte, perché io possa camminare nel buio senza cadere, e manderà il vento sulle mie orme, perché nessuno possa inseguirmi per farmi del male; mi laverà nelle sue grandi acque e con erbe amare guarirà le mie ferite…”
 
Oscar Wilde, De Profundis

Scritta dal grande scrittore quando era in prigione per scontare colpe che oggi non sarebbero colpe...

Fiumi

Ora
appoggiato alle anse nascoste
a respirare la lenta corrente senza fine,
guardi fuggire tra le canne
quel tramonto impaurito.
Spalanchi le tue braccia
ad accogliere ogni vita sfiorita
sulle sponde umide e unte di malinconia.
Spargi il sangue delle tue ferite
tra acque di verde oscure
e intingi nel brivido della sera
la chioma di vento divina.
Muore nel silenzio
lo sguardo del tempo
e zittisci per sempre
le ore svanite nel pianto.

Ecco
Dio che nasci torrentello
di cantanti sassi
e in primavera ti orni
di spumosi biancospini
i fianchi
crescendo ti ampli
ti coronano distanze di
cementi e malinconie
in un fluire lento e devastante
fino ad arrivare mesto
dall'acque del mare
a farti ingoiare, deturpando
per qualche istante
con tuo colore putrido
quell'azzurro festante.

Di notte

Di nebbia e grano
d’aculei fitti a trafiggere
il velo candido della notte
di Luna falciata.
Di strada e lampione
acceso su ombre feline sfuggenti
il tenue volto del ponente.
S’inerpica una strada ciottolata
sull’erta di un insonne mistero.
Disteso sul viola
di un livido pensiero
ecco l’invisibile
stormire del vento
nel bosco nascosto
in ogni struggente desiderio.
Chiama il gufo la notte
volando a voli brevi nel bosco
addormentato
si destano le stelle, faville
del creato
e la falce lunare miete sogni
tra nubi dorate e ascolta voci
lontane dal tempo evocate.

Davedomus & Ladylunaa