E penso.
E’ un eco il tuo destino
tra figure immaginate
sull’intonaco scrostato
della mia stanza.
Attesa si chiama la mia donna.
Affacciata al davanzale
guarda le mie carezze,
forme scivolate dalla pelle
raggrinzita del vuoto.
Accompagna le ore
che come falene danzano illuse.
M’appresto al rito della notte.
Scricchiolano le vertebre
piegate al buio gonfio d’assenza.
Negli oggetti affondati nel silenzio
gorgoglia l’ansia d’una fuga.
Tra i vetri
in cima al muro
ascolto i brividi delle stelle.
Di piaghe celesti
sono piene le mie mani.
Affido tutti i miei dolori
ad un raggio tremulo di Luna.
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